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I Frati Cappuccini

 

 

Home > I Frati Cappuccini > Storia della presenza cappuccina > ANNI 1917 - 1920

 

Anno 1917

Il 22 ottobre 1917 si celebrò la festa degli ortolani durante la quale predicò p. Gregorio Moscardi da Breno che era stato presidente per breve tempo nel 1908.

Il 30 ottobre 1917 venne mandato fra Diego Testa da Cenate Sotto.

Anno 1918

26 ottobre 1918 soldati in convento. Dopo la preghiera del 16 giugno 1915, la cronaca (o il cronista che la ricostruisce) tace assolutamente sugli eventi della prima guerra mondiale che sembra molto lontana. Proprio verso la fine, in un certo modo, doveva coinvolgere anche il santuario.

Il 22 ottobre ci fu un incontro tra il tenente colonnello Guglielmo Leonetti di Guglielmo e p. Mosè. Il militare, che rappresentava il deposito di convalescenza di tappa (ospedale da campo), con fare "molto indelicato% notificò che il 26 la truppa avrebbe occupato l'ala sinistra del santuario; esigeva che per tal giorno dovesse essere sgombra e pronta all'occupazione. 

Il povero frate "pregò, protestò, fece conoscere gli inconvenienti che dovevano succedere alla sua famiglia religiosa, i danni che sarebbero avvenuti pel palazzo", ma senza ottenere nulla. Allora consegnò il seguente promemoria: "Mi assoggetto a cedere i locali che ho in più, restringendomi in ciò che è di assoluta necessità per la custodia del santuario essendo impossibile allontanarsi dalla stessa custodia perché in cura d'anime e più ancora per Regio Patronato. 

L'investito, o chi per lui, non può, senza mancare ai doveri imposti dalla nomina regia, abbandonare la custodia del santuario. Se l'ufficiale requisitore crede tuttavia di avere l'assoluta facoltà di dare lo sfratto al custode è necessario che per iscritto esprima che, malgrado la dichiarazione ricevuta, e cioè di Patronato Regio, intimi lo sfratto, perché solo in questo caso, l'investito potrà far ricorso a chi si deve. Stendere l'atto di consegna e stabilire, in base alle disposizioni contenute nelle regie patenti pel Lombardo Veneto ed anche descrivere i locali nelle condizioni in cui vengono consegnati per poter giudicare il congruo risarcimento dei danni che potranno esser recati ai locali stessi". Il documento contiene solo lo stretto necessario da parte di un religioso che non è padrone del convento, ma solo gestore. In fretta e furia si dovette svuotare tutto lo stabile, ammonticchiare mobili, letti, pagliericci, carte, libri, quadri, ecc. ed il 26 ottobre i militari presero possesso dei locali. 

Il cronista attribuisce a questi dispiaceri e trambusti la causa della morte del presidente p. Mosè avvenuta il 31 ottobre 1918 alle ore 12. Già sofferente di cuore, una sincope cardiaca lo portò al Creatore. 

I militari rimasero nei locali del santuario per tre mesi. Il cronista annota che si sentiva "tutto il giorno e parte delle notti, l'armonia di canti, dei turpiloqui e bestemmie di circa 300 militari". 

Quando finalmente se ne andarono e fecero un sopralluogo per verificare i danni arrecati, il nuovo superiore si sentì dire che alla Fontana i militari non avevano fatto nulla di male e dovevano essere contenti perché in altri posti avevano rotto i pavimenti, bruciato usci e finestre, "ma qui sono stati anche troppo onesti". " triste ricordare queste cose, ma è la verità ed é ancora più triste pensare che persone responsabili della difesa dei cittadini si comportino con tanta leggerezza. 

Il secondo cappuccino morto alla Fontana
31 ottobre 1918: P. Mosè Ziliani da Gratacasolo morì, come detto, all'età di 55 anni. P. Nicola Pedrazzini da Carpiano, che scrive anche questa seconda necrologia, riassume così l'attività del defunto: i superiori lo trovarono "adatto all'ufficio prima di precettore [insegnante], poi di lettore [professore] di Teologia, di vicario e di presidente. E p. Mosè corrispose degnamente". Aggiunge, però, che l'attività principale fu quella di predicatore e di confessore.

"Col ministero della parola fece un bene immenso in tutta la Lombardia... Nel confessionale era instancabile". 

Del suo profilo umano scrive che fu un "uomo che non visse che per lavorare, per soffrire, per sacrificarsi nell'adempimento del suo ministero e nell'esercizio della carità nelle sue più svariate manifestazioni". 

Il 9 novembre 1918 venne mandato p. Guglielmo Cugini da Vall'Alta come presidente.

Anno 1919

Il 25 giugno 1919 si fece la solita chiusura del mese di maggio. "Riuscì di grande consolazione per il numero che si accostò ai Santi Sacramenti". Predicarono l'abate don Eugenio Chiodelli e don Angelo Bernabé nuovo parroco di Vicobellignano. Il cronista aggiunge che si desidera che questa festa non venga ritardata così tanto a causa dei lavori campestri. 

24-26 giugno 1919. A causa della situazione post bellica, non si tenne il capitolo provinciale, ma tutti i frati che ne avevano diritto inviarono la scheda esprimendo, in forma consultiva, i nomi del nuovo provinciale del suo definitorio. Così avvenne. Il 9 giugno giungeva da Roma l'elenco degli eletti e nei giorni 24-26 giugno, a Bergamo, venivano formate le nuove comunità cappuccine. Nel convento della fontana furono confermati o destinati i seguenti religiosi: p. Guglielmo Cugini da Vall'Alta, presidente; p. Nicola Pedrazzini da Carpiano; p. Eustorgio Novati da Verano Brianza; f. Diego Testa da Cenate Sotto, ortolano; f. Damaso Fagnani da Inzago, cercatore e portinaio; f. Ruffino Contessi da Qualino, cuciniere e sacrista, che poi entrò tra i camaldolesi. 

Il 24 settembre 1919 p. Eustorgio venne mandato a Milano nel convento di S. Francesco e qui giunse p. Claudio Gambirasio da Almenno San Salvatore come vice-presidente. Ottobre 1919. Forse a causa della guerra la società degli ortolani si dissolse. In conseguenza le celebrazioni di ottobre furono meno partecipate. Alla mattina ci fu poca gente benché si festeggiasse anche il 25 di sacerdozio di p. Nicola da Carpiano. Predicò p. Sperandio Vecchi da Mornico al Serio che piacque molto. Durante la celebrazione pomeridiana del vespro, essendoci più gente, lo stesso predicatore tenne un secondo discorso che entusiasmò tutti.

Anno 1920

25 marzo 1920, festa patronale. Pio X, con il motu proprio "Supremi Disciplinae Ecclesiasticae" del 2 luglio 1911, tolse la qualifica di festa di precetto alla celebrazione dell'Annunciazione del Signore. Pur rimanendo una festa grande nella chiesa, diventava giorno lavorativo, perciò era inevitabile che diminuisse la partecipazione popolare alla festa. Anche quest'anno, però, il cronista può scrivere che "Il concorso fu veramente straordinario. Molti fedeli si accostarono ai santi sacramenti: la chiesa fu sempre, ma in modo [particolare] durante le funzioni, gremita di popolo devoto". Predicò p. Davide Angeli da Desenzano al Serio, ex missionario in Brasile. 

Il 9 maggio 1920 mons. Giovanni Cazzani, vescovo di Cremona, conferma e firma la convenzione con i cappuccini. 

Il 17 giugno 1920 si celebrò la solita chiusura del mese di maggio che aveva predicato p. Claudio Gambirasio da Almenno San Salvatore. Dopo i vespri predicò don Francesco Parmigiani, nuovo curato dell'abbaziale di Casalmaggiore. Il cronista aggiunge, senza completarla, questa notizia: "Trovandosi ammalate le due solite promotrici, accettarono in sostituzione due altre nelle persone di Agazzi Luigia e di [rimasto incompleto], le quali accettarono di mantenere la Pia Unione". 

Percorrendo la storia, vediamo che le feste si svolgono abbastanza bene, ma non dobbiamo dimenticare che c'è sempre qualcuno che ci mette tempo e impegno perché vengano preparate e riescano solenni. 

Il cronista riporta anche il testo dell'avviso che era stato esposto per la festa: "Figli di Maria! In questi giorni di sacri doveri e di innumeri tribolazioni per le famiglie nostre e per la diletta nostra patria, accorrete a rinnovare lo spettacolo grandioso e commovente dei nostri Padri, che ardenti di amore e di riconoscenza per la gran Vergine, si affollavano in questo devoto Santuario, già tanto celebre, e colla loro fede e devozione vivissima ottennero da Lei, che è sempre la Madre amorosa e potente, nuove grazie e benedizioni. Pregate che Iddio affretti la pace perfetta e duratura, da tutti e da tanto tempo sospirata, ridoni all'Italia nostra la tranquillità, la concordia degli animi, sì che tutti ritornino a chiamarsi fratelli". 

Un testo che doveva fare molto effetto sulla gente che era appena uscita dalla guerra, che piangeva ancora tanti morti e distruzioni, che vedeva l'avviarsi di una democrazia ancora incerta e fragile, che vedeva le forze politiche in campo portare la lotta al radicalismo e, da una parte di esse, anche alla lotta contro la fede cristiana. Echi di questi problemi saranno presenti nel testo della cronaca che citeremo tra poco. Nel mese di ottobre 1920 non si celebrò la festa degli ortolani. Avevamo già notato che era scomparsa la società che la preparava e la sosteneva. Il cronista aggiunge che quella del 1919 era diventata "anemica", aggiungendo la motivazione: "perché nessuno si sente di assumersi l'impegno di farsi promotore e continuatore", ma aggiunge un altro motivo: "ed anche perché non era prudenza fare manifestazioni in un giorno in cui si tenevano le elezioni amministrative, prevedendo che la vittoria arridesse ai socialisti, come pure sgraziatamente lo fu, e quindi d'avere delle noie per qualche brutta sorpresa, come in tanti altri luoghi. Infatti riuscito il partito, formarono un corteo e girando per la città, fecero la parodia d'un funerale. Certamente, sapendo della festa, sarebbero venuti anche al Santuario della Fontana con idee sovversive". 

Un po'più avanti, il cronista aggiunge: "Sono d'avviso di sopprimere anche per gli altri anni la festa degli ortolani che si faceva al lunedì, a meno che si risvegli la fede degli antenati, ma questo non v'è da sperare". Forse troppo pessimista il compilatore della Cronaca. E' naturale che alcune feste tramontino e ne sorgano di nuove. 

Si celebrò, comunque, la terza domenica di ottobre la festa del ringraziamento in ricordo della liberazione dal colera avvenuta nel 1855.